Ora che olimpiadi e paralimpiadi sono alle spalle, ci toccherà aspettare altri 3 anni prima di rivivere le intense emozioni sportive che abbiamo provato quest’estate. Certo, ogni tanto faremo un salto su YouTube per rivivere fuori tempo massimo lo sprint di Marcell Jacobs, o l’incredulità di Tamberi nello scoprire di avere appena vinto un oro a pari merito con l’atleta qatariota Barshim , ma tutta l’atmosfera di unione e di fratellanza che ci ha accompagnato in queste imprese non potrà essere rivissuta semplicemente premendo il tasto play.
Oltre al lato competitivo però questi giochi olimpici ci hanno ricordato anche il potere dello sport di richiamare all’attenzione dell’opinione pubblica temi di attualità politica: la vittoria di Marcell Jacobs e quella di Fausto Desalu – il velocista nato in Italia da genitori nigeriani – ad esempio, hanno ravvivato la discussione sullo ius soli nel nostro Paese. Atleti nati in Italia, che spesso conoscono perfino il dialetto della zona in cui sono cresciuti, devono aspettare di compiere 18 anni per avere la cittadinanza italiana, con gravi ripercussioni sulla propria carriera. Successe proprio a Desalu, che nel 2011 registrò il record nazionale nei 60 metri a ostacoli nel campionato indoor, senza però che gli venisse riconosciuto in quanto privo della cittadinanza, e che ha dovuto aspettare la maggiore età per vestire la maglia azzurra.

"The Olympics celebrate the human spirit, perseverance, excellence, sportsmanship, and global unity."

Anche nei più recenti fatti che coinvolgono l’Afghanistan è evidente quando, molto spesso, gli atleti e le atlete possano essere personaggi scomodi per la politica. Infatti solo grazie a un intervento di altre nazioni è stato possibile portare a Tokyo da Kabul la prima donna paralimpica afgana di sempre, la campionessa di taekwondo Zakia Khudadadi. Dopo un rocambolesco imbarco in uno degli ultimi voli partiti prima della chiusura dell’aeroporto della capitale afgana, Zakia è riuscita a raggiungere l’Australia e da lì il Giappone.
Oppure potremmo parlare della più medagliata atleta di sempre, la californiana Allyson Felix, da sempre in prima linea per garantire maggiori garanzie economiche e sociali alle atlete in gravidanza. Dopo aver raggiunto le 11 medaglie grazie al bronzo nei 400 piani e l’oro nel 4×400 di Tokyo 2020, l’atleta ha citato tutte le difficoltà che si è trovata ad affrontare dopo aver partorito con un cesareo la piccola Camryn: tra contratti degli sponsor che prevedevano una riduzione dei compensi in caso di gravidanza e la mancanza di sostegno, di servizi e strutture per la maternità nell’ambito sportivo.

 

SPORT E DISPARITÀ DI GENERE
D’altra parte è scontato che le disparità di genere che sussistono nelle nostre società non si dissolvano per magia quando si fa sport, nonostante lo spirito olimpico con cui Pierre de Coubertin ridiede vita ai giochi fosse imperniato sui concetti di democrazia e uguaglianza. Lo dimostra anche la sessualizzazione delle atlete, spesso costrette a indossare succinte divise di gioco mentre i loro colleghi maschi possono ricorrere a indumenti meno appariscenti ma altrettanto (se non più) funzionali ai fini della loro disciplina. E anche in questo caso le olimpiadi sono state un ottimo palcoscenico per portare il tema alla ribalta, come è successo a Tokyo quando la squadra di ginnaste tedesche si è rifiutata di gareggiare con i tradizionali body attillati.
Ancora una volta, insomma, le olimpiadi hanno riaffermato la loro centralità e importanza non solo sportiva ma anche nella tutela e nello sviluppo dei diritti civili. Che siano quelli delle donne, delle minoranze o dei migranti poco importa: i giochi sono (sempre) aperti.