Ormai in vista della chiusura dell’anno, tracciamo un primo bilancio delle nuove installazioni. Mentre crescono gli obiettivi fissati a livello internazionale, i progetti in Italia non mancano ma la sfida rimane complessa.
Si è appena conclusa la COP 28 di Dubai. La ventottesima, appunto, convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Dalla COP 21 del 2015, che ha portato allo storico Accordo di Parigi, questo è stato il luogo di incontro, scontro, discussione e negoziati per decidere linee comuni sul clima e contro le minacce del riscaldamento globale.
Negli ultimi anni, la conferenza ha avuto come obiettivo principale l’individuazione di azioni volte al mantenimento del limite di riscaldamento a +1,5%, trovando delle soluzioni finalizzate all’uso sempre più limitato di fonti fossili, in favore delle rinnovabili. Oltre che rappresentare un palco su cui i Paesi potessero chiarire le loro dichiarazioni d’intenti.
Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, che ha tenuto un discorso di apertura dei lavori, ha sottolineato come il Green Deal e il Fit for 55, abbiano dato il via a pacchetti di misure per cambiare radicalmente il modello di sviluppo economico – almeno europeo – riducendo le emissioni del 30%. Ma non è ancora abbastanza.
IN ORIGINE FU L’ACCORDO DI PARIGI
Nel 2015 ci fu l’Accordo di Parigi, il primo di una serie di pacchetti sul clima, per mettere un freno al riscaldamento globale. Ne deriva un obiettivo a lungo termine per i governi, cioè quello di mantenere la temperatura globale ben al di sotto dei 2°C in più rispetto al 1990 e sforzarsi per limitarlo a 1,5°C, com’è poi passato alla storia.
Ogni governo, inoltre, in questa occasione si era impegnato a rinnovare e comunicare ogni cinque anni i piani di azioni per centrare questi ambiziosi obiettivi.
Sulla scorta di questa indicazione, nel 2021 l’Unione Europea ha varato il pacchetto sul clima Fit for 55 definendo un taglio del 55% delle emissioni gas serra dell’Unione nel 2030 – sempre rispetto al 1990.
Con la nuova crisi geopolitica e l’esigenza improvvisa di sganciarsi dal gas russo, poco dopo viene varato il RePowerEU che conferma l’obiettivo sul taglio delle emissioni, alzando i target sull’efficienza energetica e l’obiettivo di sviluppo delle fonti rinnovabili elettriche, viste ovviamente come chiave di volta per il raggiungimento dei target emissivi.
Entro il 2030 l’Europa dovrà produrre il 45% dell’energia che consuma con fonti rinnovabili (prima era il 40%): in pratica, nel 2030, la capacità di generazione green europea prevista passa da 1.067 GW (Fit for 55) a 1.236 GW (RePowerEU). Entro il 2025 dovranno essere connessi ben 320 GW di fotovoltaico, più del doppio di oggi, con l’obiettivo finale di aggiungerne 600 GW entro il 2030.
Anche per l’Italia le sfide si fanno più ambiziose.
RINNOVABILI: PROGETTI (E LE SFIDE) DELL’ITALIA
In effetti l’Italia si sta impegnando: nel suo ultimo Osservatorio sulle rinnovabili elettriche, pubblicato proprio pochi giorni fa, l’Anie Rinnovabili di Confindustria ha rappresentato il quadro delle nuove installazioni in Italia nei primi 9 mesi dell’anno. Un totale di 3.122 MW (per quasi il 90% impianti fotovoltaici) che eguaglia le installazioni realizzate nell’intero 2022 e fa segnare un +57% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Ciò porta la potenza rinnovabile complessivamente installata in Italia a quasi 64 GW grazie soprattutto a 28 GW di fotovoltaico, 19 GW di idroelettrico e 12 GW di eolico.
Ma nello stesso report, Anie avverte che questo tasso di crescita non è sufficiente a traguardare gli obiettivi di sviluppo del settore previsti dal nuovo schema di PNIEC.
Di fatto, il piano RePowerEU ha previsto per l’Italia 85 GW di nuovi impianti rinnovabili da installare tra il 2021 e il 2030 (rispetto ai 70 imposti dal precedente Fit for 55 del 2020). Ciò significa moltiplicare quasi per 4 volte il fotovoltaico installato in Italia e raggiungere una quota di rinnovabili nel mix di produzione elettrica pari al 84%.
Questo dato lo scorso anno è stato pari al 31% – a causa della forte siccità che ha limitato la produzione idroelettrica – ed è fortemente influenzato non solo dalla capacità di sviluppare nuovi impianti ma anche dal successo nel preservare la produzione di quelli esistenti, fortemente influenzata dagli eventi meteorologici e dal cambiamento climatico. È stato da poco pubblicato su Tip un articolo proprio riguardo questo, “Le sfide dell’idroelettrico italiano di fronte al cambiamento climatico“.
Secondo uno studio pubblicato lo scorso anno da Accenture, ciò vuol dire tenere una tabella di marcia di 10-12 GW all’anno di nuove installazioni tra il 2025 e il 2030. Lo stesso studio aveva considerato gli anni tra il 2022 e il 2024 come necessari per attivare la filiera e raggiungere la velocità di marcia sostenuta prevista nel periodo 25-30 ma, in ogni caso, si aspettava di raggiungere almeno 6 GW di nuove installazioni quest’anno. Un risultato che, visti i dati esposti in questo articolo sui risultati dei primi 9 mesi del 2023, molto difficilmente sarà avvicinato.
Un tasso di crescita ancora più ripido lo dovrebbero avere gli accumuli, necessari per supportare la crescita della generazione intermittente: un’esigenza che, tra il 2023 e il 2030, è stata calcolata pari a 80 GWh addizionali di capacità di storage in batterie e pompaggi.
Su questo fronte dovrebbe venire in soccorso il nuovo meccanismo di incentivazione elaborato da Terna e ARERA per lo sviluppo di nuova capacità di accumulo che, lo scorso 14 dicembre, è stato approvato dalla Commissione Europea in base alle norme comunitarie sugli aiuti di Stato.
LA CORSA AD OSTACOLI DEI PROSSIMI ANNI
Gli obiettivi sono ormai definiti da tempo e, nel 2023, diversi strumenti incentivanti hanno iniziato a formarsi. Occorrerà però attendere il prossimo anno per la loro entrata in esercizio. D’altro canto, non mancano altre criticità, dalla burocrazia – che continua ad avere un profondo effetto sulla velocità di sviluppo nonostante i numerosi provvedimenti per sbloccare le autorizzazioni – , al fenomeno NIMBY, ormai presente anche sui casi di nuovi progetti rinnovabili, al rincaro delle materie prime, alla disponibilità di manodopera specializzata
Sfide complesse e trasversali per tenere ritmi di sviluppo molto sostenuti e che rischiano di minare un potenziale che Accenture ha stimato pari a 470 mila nuovi occupati nella filiera e nell’indotto e 345 miliardi di benefici cumulati a fine periodo.
Un’ulteriore domanda da porsi, allo stato delle cose, è se la rete elettrica nazionale sia pronta a gestire questa nuova immissione di energia. Come sottolineato da Terna, immettere nuova energia elettrica in rete da impianti alimentati da fonti rinnovabili richiede un grande sforzo in termini di investimenti per l’adeguamento delle reti di trasmissione e distribuzione. Infine, come segnala sempre Terna nel suo ultimo e recentissimo rapporto sull’adeguatezza del sistema elettrico italiano, è necessario che venga preservata la capacità di generazione a gas attualmente in servizio che rappresenta uno strumento indispensabile per bilanciare le nuove fonti rinnovabili intermittenti ed evitare fenomeni di black-out. Una sfida che si gioca sulla definizione di nuove regole di mercato che premino sempre più la pronta disponibilità degli impianti ad essere avviati in caso di necessità rispetto al loro effettivo funzionamento.
Nonostante le “Conference of the parties” continuino nella loro numerazione progressiva la questione non si fa meno complessa. Un’impresa che diventa più ambiziosa con il passare degli anni e che ha bisogno di azioni mirate sotto tanti punti di vista, ma soprattutto di una linea di pensiero comune che metta al primo posto (e tenga insieme) obiettivi ambientali e sicurezza del sistema.