2,3 milioni di abitazioni senza corrente, otto persone morte tra Texas e Louisiana. Sono le prime conseguenze dell’arrivo della tempesta tropicale Beryl sulle coste degli Stati Uniti, dopo le devastazioni portate nei giorni scorsi nei Caraibi. Niente di inimmaginabile, se si considera che stiamo entrando nella stagione degli uragani (che nell’Atlantico occidentale va da giugno a novembre), ma comunque un fatto inusuale se si pensa che la potenza registrata da Beryl lo ha già reso il primo uragano di sempre ad aver raggiunto la categoria 5 così presto nella stagione degli uragani.

È anche questo un sintomo di come il clima stia cambiando, con eventi catastrofici sempre più frequenti e più violenti, anche a latitudini di solito non interessate da fenomeni estremi. Con regioni più o meno esposte, anche a causa delle loro infrastrutture energetiche. In Texas ad esempio, stato di cui torniamo a parlare dopo il racconto della tempesta di ghiaccio e neve del febbraio 2021, gli eventi climatici estremi hanno quasi sempre ripercussioni sulla rete energetica, causando gravi disservizi alle aziende e a cittadine e cittadini. Tre anni fa il blackout causato dalla tempesta Uri provocò oltre 300 morti, lasciando senza energia 4,5 milioni di case in un momento in cui le temperature esterne erano ben sotto lo zero termico.

 

 

LA TEMPESTA BERYL
La tempesta tropicale Beryl, che lunedì 8 luglio ha trasformato le strade di Houston in impetuosi torrenti d’acqua, ha ancora una volta evidenziato tutta la vulnerabilità del sistema di produzione e distribuzione dell’energia texano: ancora isolato dalle grandi reti continentali, il sistema è vecchio e particolarmente esposto ai fenomeni atmosferici.

Sebbene il Texas sia il secondo stato americano per presenza di rinnovabili nel mix produttivo (con una produzione eolica e fotovoltaica che sfiora i 53 TWh), il suo sistema elettrico si presenta particolarmente fragile, come confermano i tanti casi recenti di blackout: già all’inizio del 2024 una nuova ondata di freddo aveva generato distacchi programmati e fenomeni di blackout, sebbene meno intensi di quelli registrati nel 2021.

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Ma il problema è anche legato all’affidabilità proprio delle fonti rinnovabili nel momento in cui cresce la loro penetrazione nel sistema: gli impianti eolici e fotovoltaici, infatti, risultano meno capaci di fornire energia proprio nei casi di gravi fenomeni meteorologici o con temperature estreme, riducendo l’adeguatezza complessiva del sistema elettrico texano. E la stessa sorte contraddistingue anche gli accumuli che pure dovrebbero sopperire alla fornitura di energia quando gli impianti rinnovabili non sono in funzione.

Il fatto che il vento tende a placarsi quando le temperature scendono è uno dei grandi Segreti di Pulcinella nella storia della meteorologia, dice David Blackmon, The Telegraph

 

IL GAS NATURALE PER IL TEXAS
Il gas naturale resta per il Texas la migliore garanzia di sicurezza energetica.
Il rischio di un blackout esteso si verifica quando le infrastrutture di rete o gli impianti stessi sono privati di energia e interrompono il loro operato: come accadde nel febbraio 2021 quando ERCOT (l’Electric Reliability Council of Texas, in pratica la TERNA texana) tagliò l’elettricità a pozzi, compressori e condutture, causando a catena l’interruzione di corrente in quasi tutto lo stato.

Passata la tempesta, non saranno comunque finiti i problemi per il sistema elettrico del Texas: le previsioni per agosto sono piuttosto critiche con un rischio di blackout e di ricorrere a distacchi programmati che supera il 15%. Tutto ciò mentre sono in corso di apertura più di 20 “cooling center” solo nella contea di Houston per permettere alla popolazione di affrontare le torride temperature previste questa estate. Iniziative che, tuttavia, aumenteranno ulteriormente la domanda di elettricità.

 

L’ENERGIA NEI PROGRAMMI ELETTORALI STATUNITENSI
A novembre con le elezioni presidenziali, non solo il Texas ma tutti gli Stati Uniti voteranno anche per il futuro energetico del proprio paese. Perché se l’amministrazione Biden punta sulla sicurezza a lungo termine, rendendo gli Stati Uniti un leader della produzione energetica rinnovabile, Donald Trump rimane un fedele sostenitore dei combustibili fossili e della tecnica estrattiva del fracking. Tanto che lo sfidante di Biden ha già dichiarato che in caso di successo cancellerà i provvedimenti dell’Inflaction Reduction Act (IRA) che prevedevano la riduzione di circa il 40% delle emissioni di gas serra, da raggiungere anche attraverso il rilancio della produzione di energia rinnovabile.

Vincerà l’approccio “Drill, baby, drill” di Trump, che ha come obiettivo quello di far rimanere gli States l’attuale leader energetico globale senza curarsi troppo del futuro prossimo, o la politica di cambiamento a lungo termine di Biden? Forse quanto accade nel Texas a ogni nuovo evento climatico potrebbe influenzare le decisioni di elettrici ed elettori.