Quando il 20 aprile il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha annunciato la volontà di costruire un termovalorizzatore nel Lazio, in Italia si è contemporaneamente riacceso il dibattito sull’opportunità di ricorrere a tale tecnologia per lo smaltimento dei rifiuti. L’argomento è divisivo, e non solo nel nostro Paese: ci si interroga sulle ripercussioni sulla salute pubblica, sulle emissioni prodotte da tali impianti e sulle soluzioni alternative da mettere in campo.
A Roma poi il problema è ancora più sentito, sia per le periodiche immagini di cassonetti strapieni che finiscono sui giornali, sia per la bassa percentuale di rifiuti differenziati: secondo i dati Ispra in città nel 2020 la raccolta differenziata copriva appena il 43,8% del totale, ben lontano da quel 65% fissato come obiettivo dall’Unione Europea già 10 anni fa e molto al di sotto rispetto ad altre città italiane come Firenze (67%), Milano (63%) o Bologna (66%).
Storicamente la città ha da sempre avuto una carenza di impianti per la gestione dei propri rifiuti. Il Lazio è la seconda regione italiana dopo la Campania per quantità di rifiuti esportati (nel 2020 54.000 tonnellate di rifiuti urbani), e questo trasporto ha un costo, sia in termini economici che di emissioni.
Gli oppositori al progetto del termovalorizzatore giustamente sottolineano come tra le linee guida dell’Unione Europea l’incenerimento dei rifiuti si trovi nell’ultima posizione utile: la gerarchia prevede in ordine di priorità la riduzione dei rifiuti, il riuso, il riciclo e solo alla fine l’incenerimento con recupero energetico. Si tratta ovviamente di uno schema ideale, pensato per un sistema di gestione ambientale già piuttosto sviluppato e in cui comunque trovano posto, seppure in coda, gli impianti di termovalorizzazione.
COSA SONO I TERMOVALORIZZATORI?
In Italia sono attivi 37 di questi impianti, il cui funzionamento è piuttosto intuitivo: i rifiuti non riciclabili vengono caricati nelle caldaie delle linee di combustione, la cui temperatura è regolata a oltre 1.000 gradi. Il calore prodotto dalla combustione genera vapore ad alta pressione, che viene immesso in un turbogeneratore per la produzione di energia elettrica e, successivamente, utilizzato per scaldare l’acqua che alimenta la rete del teleriscaldamento delle città. Più interessante è scoprire qualcosa sui sistemi di abbattimento delle emissioni nocive previsti. Dopo una serie di trattamenti dei fumi per abbattere gli ossidi di azoto, i vapori arrivano a un sistema di depurazione e filtrazione in grado di trattenere i metalli pesanti. Non finisce qui, alle porte del camino, infatti, sono presenti ulteriori filtri che trattengono le ultime polveri in sospensione.
Chiaramente come ogni impianto di combustione, il termovalorizzatore produce emissioni. Al tempo stesso però riduce quelle dovute al trasporto dei rifiuti in altre regioni o al loro smaltimento in discarica (che secondo alcuni studi produce l’80% in più di emissioni rispetto all’incenerimento), oltre a compensarle in parte grazie alla produzione di energia elettrica.
ESEMPI VIRTUOSI TRA I VICINI DI CASA
E a proposito di sistemi ambientali efficienti, allargando il nostro sguardo alle altre capitali europee, possiamo citare il caso di Copenaghen, che nel 2017 ha inaugurato un nuovo termovalorizzatore piuttosto innovativo: oltre alla sua efficienza energetica, l’impianto è stato progettato per essere un’infrastruttura vivibile anche dalla cittadinanza, con spazi verdi intorno e addirittura una pista da sci in erba artificiale sull’edificio aperta agli sportivi. L’idea, con cui l’archistar danese Bjarke Ingels si è aggiudicato il progetto, si avvale anche di tecnologia italiana, dato che i materiali plastici per rendere la pista utilizzabile tutto l’anno provengono dall’azienda bergamasca Neveplast.
Non è la prima volta che si chiede aiuto a grandi architetti visionari per rendere meno impattante visivamente la presenza di un impianto di tali dimensioni all’interno dei confini di una città. È accaduto anche per il famoso termovalorizzatore di Vienna, chiamato l’inceneritore di Spittelau.
Nel 1987, a seguito di un terribile incendio avvenuto poco meno di vent’anni dopo la sua costruzione, ha subito un restyling completo per mano dell’architetto Friedensreich Hundertwasser. Grazie al suo genio, l’impianto spicca oggi tra gli edifici industriali che lo circondano, tanto da essere divenuto anche un’attrazione turistica della città.
Considerati i pro e i contro e guardando anche agli esempi virtuosi dei nostri vicini di casa, il progetto di costruire un nuovo termovalorizzatore a Roma dovrà prima di tutto tenere conto delle reali esigenze del territorio, cercando di mitigare l’impatto ambientale con soluzioni compensative che vadano incontro alla comunità e rendano l’impianto un luogo fruibile e attento al benessere di chi attorno ci vive. E se le nuove tecnologie, con anche un tocco di energia creativa, potranno permettere al termovalorizzatore di non avere un impatto negativo sulla salute pubblica e sulla bellezza della città, per Roma bisognerà lavorare contemporaneamente in favore di politiche che favoriscano la riduzione dei rifiuti pro-capite e una raccolta differenziata efficiente e diffusa.